Alessia Giovanna Matrisciano è finalista della I Edizione di Drammi di Forza Maggiore con il testo Il numero 22.
SINOSSI
Il numero ventidue ripercorre, in un concerto di voci diverse che utilizzano il racconto, il dialogo o la poesia, la vera storia di amore e di anoressia di santa Caterina da Siena. Caterina è una ragazza ribelle all’ideale di vita che la sua famiglia le vuole imporre e trova nell’autodistruzione la via della salvezza, il necessario dire “io sono” che la società negava alle donne del suo tempo.
VALUTAZIONE COLLETTIVA
Testo delicato e poetico dall'eco testoriana, onora e rende centrale la parola utilizzando e mischiando in modo sapiente racconto, dialogo e poesia, riuscendo nell'arduo compito di rendere più umani e vicini al nostro immaginariole difficoltà e il dolore di un personaggio lontano come S. Caterina.
SULLA GENESI E SUL TEMA DEL TESTO
Ricordo bene il momento in cui ho iniziato a scrivere questo testo perché è stata una vera folgorazione. Da circa dieci anni cerco, a più riprese, di raccontare in modo efficace l'anoressia, una malattia che ho sperimentato sul mio stesso corpo. Il primo libro che scrissi sul tema era un romanzo che fu finalista per la mia regione al concorso nazionale RAI, ma poi non fu più pubblicato: per fortuna! Non volevo parlare di anoressia in modo astratto, ma appoggiandomi a storie vere; il problema era però che in questa trascrizione della verità rischiavo di imbarazzare e compromettere persone che conoscevo. Poi ci ho riprovato con il teatro a raccontare queste cose, in più testi, tutti falliti. Ero bloccata. Infine, un giorno, ho ascoltato una lezione di Alessandro Barbero su Caterina da Siena e mi sono resa conto che la storia vera che cercavo era lì, era a portata di mano, era pubblica ed era del tutto rappresentativa. Mi sono subito innamorata di Caterina, come da anni non mi innamoravo di un personaggio. Il fatto è semplice: io sono lei. Ho scritto questo testo in modo febbrile, forse la febbre mi è anche venuta nel frattempo. Il bello è che la storia di Caterina mi ha rivelato quanto fossi stupida a voler parlare della malattia senza trattare anche il resto. Di fatto ho scritto una biografia. Ah, e mentre la scrivevo pensavo: questa è una drammaturgia che non venderà mai, mai mai. Spero di sbagliarmi su questo ultimo punto.
SULLO STILE E SULLE INFLUENZE
Lo stile è personale perché fa parte della poetica di un artista. Io credo che i miei testi siano abbastanza riconoscibili, ma talvolta amo tradirmi e mascherarmi: dallo stile si può anche evadere. Credo di avere raggiunto un mio stile perché, semplicemente, non so più rintracciare le influenze altrui in quello che scrivo: ho amato alla follia Rimbaud come poeta e Sarah Kane come drammaturga, ma i miei testi non ricalcano il loro modo di scrivere, né la loro poetica, né i loro temi.
SUL PANORAMA DRAMMATURGICO NAZIONALE
Sto scrivendo la mia tesi di laurea sulla drammaturgia italiana dell'ultimo secolo. L'ultimo capitolo, ancora da redigere, si intitola: che fare? Nella mia vita professionale ho visto che la figura del drammaturgo è in assoluto la meno considerata nel teatro; non è neanche un vero mestiere e i brontosauri dell'Università non mancano di ripeterlo. Vedo però che si sta facendo strada una sensibilità nuova. Sempre più giovani attori e registi capiscono di avere bisogno di figure come noi. Ma che fare, a parte tentare di salvarci da soli inventandoci anche altri lavori di contorno, non saprei. Forse quel capitolo lo lascerò in bianco.
SULLA TUA PROSA POETICA
[Oltre che drammaturga sei anche poetessa. Puoi parlarci della tua poesia e del rapporto con la drammaturgia? E,in quanto regista, della possibilità, delle potenzialità, dei rischi della poesia in scena?]
Io ho iniziato come poetessa e sono passata al teatro perché mi sembrava l'evoluzione naturale di quello che facevo, un modo per rendere la mia poesia viva. La poesia è stata per secoli parte integrante del teatro e penso che anche oggi possa dargli molto, a costo di dovere creare per lei un nuovo sottogenere di spettacoli. Da regista credo che gli spettacoli in poesia siano molto esposti al rischio di fallire, non per colpa del pubblico semplice ma per colpa degli addetti ai lavori, i quali non apprezzano questo genere di cose. Perché lo dico? Perché quando un regista affronta uno spettacolo in prosa poetica e non vuole rovinare tutto deve saper fare un passo indietro, limitare le soluzioni sceniche e mettere in evidenza le parole, concretizzarle, farle vedere stampate sulla faccia degli attori. La gente comune che viene a vedere i miei spettacoli esce dal teatro dicendo: che bel testo! L'addetto ai lavori che viene a vedere i miei spettacoli esce dal teatro dicendo: quanto era povera questa regia!
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