Niccolò Matcovick è finalista della I Edizione di Drammi di Forza Maggiore con il testo Kraken.
SINOSSI
L’opinione pubblica è un mostro degli abissi dai mille tentacoli. Ogni tentacolo rappresenta una parvenza di individualità che, in movimento perpetuo con le altre, si amalgama, confonde, aggroviglia, fino a confermare, mai provocare, le intenzioni della creatura.Il racconto si presenta come un intreccio di voci indefinite: che siano singole o siano coro, all’opinione pubblica poco importa.
VALUTAZIONE COLLETTIVA
Pièce contemporanea ma con le caratteristiche di universalità proprie del mito, dalle atmosfere che vanno oltre la pagina scritta e che ben rappresentano, in modo surreale, un aspetto quantomai deprimente della nostra società di massa. La freschezza della drammaturgia, lo stile secco, incisivo ed efficace contribuiscono all'ironia e al divertimento nella lettura, lasciando aperte molte porte alla messa in scena.
SULLA GENESI E SUL TEMA DEL TESTO
All’inizio - parliamo (credo) del 2019 - Kraken era tutt’altra cosa: si chiamava “Molo-tov”, contava le prime due o tre pagine di stesura e voleva essere scritto in versi con linguaggio aulico e rompicoglioni. Va da sé che, buttate giù a fatica le prime – mediocri - righe, il testo se ne è rimasto lì ad assorbire le muffe del desktop. Diverso tempo dopo, quasi per caso, ho riaperto il file e riletto quanto scritto in precedenza: le dita sul Mac sono andate in automatico su MELA-A ? CANC, salvo una manciata di versi che sono stati trasferiti sul personaggio del poeta – e che rendono bene l’idea di quanto sarebbe stato mediocre il tutto se mi fossi preso sul serio nell’idea di scriverlo in quel modo. Avevo voglia di raccontare qualcosa di torbido e disumano, ma con leggerezza e ritmo. Il mostro leggendario, le onomatopee, il coro indefinito, la voce dell’innocenza (il bimbo) mi hanno guidato nei sette giorni di creazione (e distruzione) di un mondo piccolo, ottuso, giudicante e forsennato. Poi il grande tentacolo ha spazzato via tutto, compreso l’autore.
SULLO STILE E SULLE INFLUENZE
I furori giovanili mi portavano spesso a dire che il mio stile era non avere uno stile, frase che, ripensandoci oggi, lascia un po’ il tempo che trova. Maturando come una pera, ho intuito che il mio percorso si basa piuttosto sull’antistile, posto che dovremmo metterci d’accordo su cosa si intenda con la parola stile. Se però ci basiamo su una padella che raccolga nell’olio bollente una serie di ingredienti che puntino a un’armonia di un piatto perfettamente bilanciato – la ricorrenza di temi e tematiche, il linguaggio, la forma… - allora sì, mi confermo un antistilista. Mi piace il casino, la contraddizione, la stortura, il cambio di rotta, l’inciampo. Mi piace la ricetta nuova – a tratti azzardata – piuttosto che l’ossequio al Talismano di Ada Boni. Sempre con coerenza interna, però; a volte anche troppa. E sempre con ritmo. Il ritmo è il metronomo del mio antistile, o il termometro del mio olio bollente.
SUL PANORAMA DRAMMATURGICO NAZIONALE
Ho la fortuna di conoscere – e continuare a incontrare, virtualmente o meno – una gran quantità di drammaturghi della mia generazione o anche più giovani. Ultimamente leggo solo i loro testi, ne ho pieno l’hard disk e in alcuni casi ho arretrati di cui approfitto per fare pubblica ammenda. C’è tanta scrittura e poco dialogo. Dialogo collettivo, intendo. Ci sono i premi, le compagnie con i propri autori, ogni tanto le pubblicazioni, ma mancano le occasioni di incontro. E questo è un peccato e uno stimolo. Nel mio piccolo, in forma privata ma anche tramite CastellinAria, delle occasioni cerco di crearle. Ma soprattutto ho avuto la fortuna di partecipare a iniziative virtuose da questo punto di vista. Prima tra tutte cito l’esperienza di Write a Mandanici, in Sicilia, di cui non sarò mai abbastanza grato a Tino Caspanello: l’unica residenza di drammaturgia in Italia. Ma penso anche al Drama Lab di Fabulamundi, indubbiamente agli anni felici del corso autore alla Paolo Grassi, nonché alla bella formula del vostro concorso o al recentissimo, felice progetto di Abbecedario del Piccolo di Milano. I drammaturghi sono una specie rara – fortunatamente tutt’altro che in via d’estinzione – ma non certo protetta. Più cura, più attenzione, più occasioni… D’altronde, per dirla con la Vanoni, Basta poco.
SUL TUO TESTO "TENTACOLARE"
[Hai lasciato volutamente indeterminata l'attribuzione delle battute. Tu sei anche regista. Parlando in termini generali, come vedresti la messa in scena del testo? Cosa esalteresti e con che tipo di mezzi? Quale sarebbe la tua preoccupazione, il tuo obiettivo principale e come cercheresti di affrontarlo?]
Vedrei un colossal pieno di cose inutili, barocco, con cento attori sul palco a mo’ di coro rossiniano, molti dei quali vere e proprie tinche senza battuta, che si agitano come pesci fuor d’acqua nel tentativo disperato e inutile di raggiungere il proscenio, di sparare la propria cazzata, di salvarsi e condannare per poi condannarsi.
Vedrei il palco come un molo di quelli da traghetto Siremar a inizio agosto, strapieno di lavoratori stressati dalla vita pronti ad andare in vacanza ma altrettanto stressati già solo all’idea di quanti altri lavoratori stressati dalla vita si troveranno appiccicati e umidi sulle poltrone affianco del passaggio ponte.
Vedrei il mostro come un vero mostro: gigantesco, colorato, reboante. Di quelli plasticosi e fracassoni da LunEur, che sembrano fuffa ma sono pieni di roba e pesano un quintale. E il suo tentacolo come un vero tentacolo, tenace e appiccicoso, pronto a schiantarsi sul palco e fare un gran casino.
Vedrei la platea come il grande mare e gli spettatori come gli estranei: uno di loro sarebbe colpito a morte.
Vedrei il bimbo come un bimbo.
Ma anche un palco vuoto e tre attori andrebbero benissimo.
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