Tebe: l’intera popolazione femminile, spinta dalla forza del Dio Dioniso, infrange la soglia di ciò che le è consentito dalla società costituita: la differenza tra ammesso e non ammesso, proprio ed improprio si frantuma.
Dimensione pubblica e dimensione privata, fino ad allora rigidamente separate, si contaminano in modo irreversibile e le donne si trasformano, si riscoprono, trovando il loro completamento.
Sia esso un contagio, una fede, un atto di coraggio o di coscienza, si chiama Dioniso e colma una mancanza: rende libere, per la prima volta, in modo assoluto.
Ma, ogni libertà, se radicale, non è più libertà. Sacrifica sempre qualcosa o qualcuno.
La storia che scegliamo di raccontare è quella di una conquista liberatoria e violenta, e di una perdita personale: Agàve regina di Tebe che tutto aveva e poteva avere, ma che per prima si doveva inchinare ai limiti riconosciuti, sarà spinta oltre il tutto e tutto perderà: suo figlio e la sua nuova vita dionisiaca, a causa l’uno dell’altra, imprescindibile l’uno, ineguagliabile l’altra.
La particolarità del nostro lavoro consiste nell'aver decostruito il testo, nell'averne individuato un punto focale e da lì aver ri-costruito una partitura drammaturgica per azioni e musica che fosse funzionale al tema precedentemente individuato.
Per raccontare la storia, abbiamo scelto di basarci esclusivamente sull'azione, sui gesti: gesti psicologici e gesti narrativi - i primi capaci di esprimere l'intimità specifica dei personaggi, i secondi funzionali alla creazione di scenari e situazioni e alla narrazione dei fatti. Il tutto sulla forte scia di una musica suggestiva, a tratti ipnotica, e che contribuisce a creare un mondo tanto potente quanto coerente e specifico.
La parola si fa gesto, il gesto azione, il modo più puro, semplice, apparentemente scarno, universale ed ancestrale per raccontare una storia, cruda come la carne che si racconta.